La neve in tasca
Duende narrativa:
La neve in tasca - Patrizia Di Donato
13,00euro - pp. 128
I racconti che compongono questo volume propongono una serie di prove tecniche sui nomi e sui volti dell’esistenza, una serie di incursioni, o meglio, una serie di incisioni che, con delicatezza, con pacatezza, entrano nella pelle delle cose alla ricerca di una prospettiva diversa. Al pari di chiunque veda nella scrittura un’indispensabile estensione della propria esperienza, e grazie alle storie e ai personaggi che mette in scena, Patrizia Di Donato spinge il proprio sguardo sulle orme di tante piccole verità che guardano a quell’episodio insondabile chiamato vita.
(dalla prefazione di Simone Gambacorta)
"Che avrai pensato mentre percorrevi la strada di ghiaia acuminata che ti conduceva in Via Tripoli?"
Leandro Di Donato commenta così il libro di Patrizia Di Donato durante una presentazione tenutasi a Civitella del Tronto il 5 maggio 2011:
La lettura del libro di Patrizia Di Donato “La neve in tasca” regala molte emozioni e molte sorprese.
Le une e le altre si condensano, a lettura conclusa, nella certezza, che si è andata formando pagina dopo pagina, racconto dopo racconto, di aver scoperto una scrittrice che sa fondere l’originalità del suo sguardo con una scrittura ironica e sapiente. Questo impasto, perfettamente riuscito, è la cifra di Patrizia Di Donato, in cui l’apparente semplicità delle storie è, in realtà, l’espressione della sua proposta letteraria, della sua poetica. Ed è per questo la sola porta che, aperta, permette l’accesso in quei territori narrativi che mal sopporterebbero il segno di altre e diverse scritture.
Il titolo evoca profumi di infanzie lontane, di case abbarbicate al fumo di camini, di giochi poveri, in cui la neve da mettere in tasca è un pezzo di vita. Un mondo di immagini in bianco e nero, evocato dalla foto della copertina. Ma in quella foto, così come nel mondo narrativo dell’Autrice, i colori non sono assenti, risucchiati e annullati dalla dimensione bianco/nero; i colori ci sono, e sono vividi, ma bisogna cercarli scavando la superficie dell’apparenza, dentro e attorno a snodi di vite e microcosmi sociali ed affettivi, che contengono tutti i fili della vita, anche quelli che dondolano lontano, inafferrabili ma visibili, presenti.
Il libro è scandito dal ritmo di sei racconti, diversi per lunghezza e per ambientazione ma, legati, molto di più di quanto non dicano i confini che li dividono, da indizi, rimandi, dettagli, piste e orme che conducono o, meglio, riconducono come in un cerchio o in grande cortile aperto - il cui perimetro è tracciato da vie che si fan forza l’una con l’altra-, al punto di partenza, al bandolo da cui si è pian piano dipanata la matassa narrativa.
Il primo racconto “ Che bel dono” ha vinto il Premio Teramo 2005, sezione Mario Pomilio.
Renato Minore, componente della Giuria, ha scritto:” Il racconto è molto originale. Partendo dal nucleo famigliare riesce ad inquadrare un mondo, un’epoca. Sempre ironico, sarcastico, lo sguardo della protagonista risulta col tempo disincantato e dolce, quasi nostalgico, quella nostalgia che si prova spesso verso la nostra infanzia, quando tutto sembra un po’ speciale e grande”. E questo racconto, davvero straordinario per il taglio narrativo, l’ironia, la capacità di far emergere da un mondo piccolo il ritratto grande di un periodo della nostra storia recente, svela pian piano il suo contenuto, come un pacco che contiene un altro pacco e poi un altro ancora, fino alla sorpresa finale. Pagine queste, la cui lettura regala la stessa gioia provata da bambini sciogliendo fiocchi e tuffando gli occhi, prima ancora delle mani, nei pacchi contenenti i nostri regali. Da questo punto di vista, cioè da quello del godimento della lettura, questo racconto è davvero un bel dono. Così come un dono, che rompe l’ordine sfrangiato di giorni prigionieri di cieli colorati di odori poveri, è quello in cui nel gioco della stazza- il gioco che designa i veri campioni e stabilisce le gerarchie- vengono messe in palio le figurine di Rivera, di Riva e ben due di Pelè. Un tesoro autentico, e chiunque abbia giocato o visto giocare alle figurine capisce di cosa si stia parlando. L ‘Autrice rende con maestria l’atmosfera di sospensione che si crea prima del tiro, la sensazione che tutto il mondo trattenga il respiro, che tutto sta per essere deciso nell’istante preciso in cui si realizzerà se la pietra ha colpito o ha mancato il bersaglio, designando vinti e vincitori. La possibilità di fare il tiro della vita, quello che centra il bersaglio e ti consacra campione del tuo personalissimo torneo, è il rovello quotidiano, spesso dissimulato, dei personaggi di questi racconti. La rincorsa del filo che, tiratolo, ti cambia la vita o ti rivela d’improvviso il senso di una tua ricerca, è il cuore pulsante della scrittura di Patrizia Di Donato. Ma le verità letterarie, appunto perché tali, sono sempre verità di vita. In fondo tutti siamo alla ricerca del nostro filo da afferrare, in attesa di fare il tiro della nostra vita, di spezzare a metà-esattamente a metà- il bersaglio amato e odiato, con cui misuriamo aspettative, risultati e sconfitte.
La ricerca di un varco, la nostalgia, il dover fare i conti con la faccia non illuminata dei giorni, la fatica del dolore, lo spiegamento dei mezzi possibili di difesa, il tentativo o il rifiuto di nascondersi dentro le maschere della consolazione, sono i temi che le pagine dei racconti ci offrono e in cui si specchiano, in un gioco di rimandi, tutti i personaggi.
Una citazione particolare merita il racconto “L’agenda della casa” con cui si chiude il libro, che diventa la vera agenda della vita della protagonista, in cui si trovano allineati, uno a fianco all’altro come utensili, ricette di cucina, proverbi, pillole di saggezza vera e presunta, santo e pena del giorno, gli appuntamenti con il dottore, gli abiti da ritirare e lettere da scriversi e da leggersi per poi rispondersi. Gli slalom quotidiani tra il disbrigo delle faccende pratiche e gli affanni del cuore tracciano le rotte piccole di un lungo viaggio, sotto il tetto bucato di una donna che sogna. Corse e impegni che ci ricordano, come dice il titolo di un racconto, che Il tempo di un aperitivo, è –può essere- il tempo di una scelta che vale una vita.
Simone Gambacorta nella Prefazione dopo aver rilevato che queste sono per lo più storie di donne, che si confrontano senza mai negarlo con il dolore e le infelicità, nota come questo discorso intorno al mestiere di vivere, “ne sottende uno altrettanto affascinante sulla femminilità o su taluni “modi” della femminilità”. Questa notazione credo individui la chiave di volta dei racconti, la sua nervatura appena velata: sguardi di donne, sapienza e dolore di donne, modi e stili di affrontare la fatica- che spesso è la sola prateria concessa alle corse dei sogni- che incidono in profondità i profili possibili del mondo- fisico ed emotivo- conosciuto. Ed è proprio questa parzialità che sa narrare e narrarsi ad inserire in quel mondo “ dove le case svenivano una addosso all’altra e le persone vivevano accatastate come giornali da resa” e dove solo possono svolgersi queste “ vite non illustri” – per parafrasare il titolo di un grande libro di un grande scrittore come Giuseppe Pontiggia- la luce di un possibile riscatto, la possibilità di nutrire un sogno- sia pure allucinato- cercando, come scrive ancora Simone Gambacorta, le “orme di tante piccole verità che guardano a quell’episodio insondabile chiamato vita”.
La scrittrice americana Flannery O’Connor ha scritto “A parer mio tutti sanno cos’è una storia fino a quando non si siedono a scriverne una.”
Patrizia Di Donato ha dimostrato di sapere cos’è una storia e come si scrive, anche dopo essersi seduta al suo tavolo di lavoro.
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